13 maggio - h. 17 / Teatro dell'orologio - Sala Gassman
ECCE ROBOT!
cronaca di un'invasione
Viva Mazinga! Lasciamolo vedere ai bambini,
tanto non sarà lui a farli rincretinire.
uno spettacolo di e con Daniele Timpano
ispirato liberamente all'opera di Go Nagai
Ero bambino, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando arrivarono in Italia i primi cartoni animati giapponesi. Era l'Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse e dell'ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni, ma questo io non lo sapevo ancora. Ignaro di trovarmi nel bel mezzo degli anni di piombo, vivevo l'infanzia tra robot d'acciaio.
Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai (Jeeg Robot, Goldrake, Mazinga) lo spettacolo è il divertito ed autocritico racconto di una generazione cresciuta davanti alla Tv.
drammaturgia, regia, interpretazione di Daniele Timpano
ispirata liberamente all’opera di Go Nagai
musiche originali di Michela Gentili e Natale Romolo
disegno luci e voce narrante di Marco Fumarola
registrazioni audio effettuate presso il RialtoSantambrogio di Roma
montaggio audio a cura di Lorenzo Letizia
editing e missaggio a cura di Marzio Venuti Mazzi
aiuto regia di Valentina Cannizzaro e Marco Fumarola
progetto grafico di Alessandra D'Innella
foto di scena di Antonella Travascio
una produzione di amnesiA vivacE
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi, Consorzio Ubusettete
Un ringraziamento particolare a:
Sara Dicorato, Francesca La Scala, Valerio Cruciani, Marco Maurizi, Marco Pellitteri, Jean Carlo Ripà, Marco Menini, Luca Bellofiore, Francesco Freddi, Valentina D'Amico, etc etc etc etc
Il testo dello spettacolo
ECCE ROBOT! cronaca di un'invasione
è pubblicato da Minimum Fax
all'interno dell'antologia:
SENZA CORPO
voci dalla nuova scena italiana
a cura di Debora Pietrobono
[
www.minimumfax.it ]
Uno spettacolo su Mazinga Z e la “Goldrake generation”
Un attore ricostruisce la trama di un vecchio cartone animato giapponese. Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai (fra gli altri, Goldrake, Jeeg Robot, Space Robot, Jet Robot, Il Grande Mazinga, Mazinga Z) lo spettacolo ripercorre per frammenti l’immaginario eroico di una generazione cresciuta davanti alla TV nell’Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse, dell’ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni.
Tra resoconto delle trame dei singoli episodi dei cartoni giapponesi (con particolare attenzione per la sceneggiatura di Mazinga Z) e ricostruzione storica di un’invasione (quella dei serial nipponici nei palinsesti pubblici e privati, ma anche quella della televisione dentro le nostre teste), lo spettacolo è il divertito e autocritico racconto di una generazione che, ignara di vivere negli anni di piombo, cresceva tra robot d’acciaio.
Due importanti scienziati, il Dottor Kabuto e il Dottor Inferno, durante una spedizione archeologica presso l'isola di Rodi, scoprono complessi e letali manufatti meccanici appartenuti all’antica civiltà micenea. Il Dottor Inferno – un tedesco con trascorsi nazisti – decide di servirsene per conquistare il mondo. A difendere la terra sarà Mazinga Z, colosso meccanico costruito dal giapponese Kabuto e dotato di una resistenza e un armamento straordinari. Comincia così la guerra fra le forze del bene e i terribili mostri meccanici inviati dal perfido scienziato. La pace nel mondo e i buoni sentimenti sono nelle mani del giovane pilota di Mazinga: l’unica speranza viene dal Giappone.
Note di drammaturgia
Ero bambino, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando arrivarono in Italia i “famigerati” cartoni animati giapponesi. Si gridò subito all’invasione: l’invasione gialla. In principio era Goldrake. “Ho visto un ragazzino cantarlo con grande fierezza e quasi con le lacrime agli occhi”, scriveva un allarmato Silverio Corvisieri sulle colonne di Repubblica, a proposito del celebre brano musicale che accompagnava i titoli di testa del programma: “Si trasforma in un razzo missile/con circuiti di mille valvole/ tra le stelle sprinta e va…”.
In principio era Goldrake. Ma era solo l’inizio. Di lì a poco sarebbero seguite centinaia di serie televisive animate giapponesi a basso costo: “fatte male”, diceva la gente; ma anche e soprattutto “violente, diseducative, kitsch, pericolose e incomprensibili”: niente più che biechissimi prodotti di consumo – o almeno così venivano definite da schiere di sciocchi genitori, sciocchi intellettuali, sciocchi opinionisti e sciocchi sociologi dell’epoca.
I cartoni animati di maggior successo, e i più criticati, erano quelli di genere robotico, per lo più incentrati su grossi automi meccanici impegnati a difendere la terra dal nemico di turno: culmine di ogni puntata il rituale combattimento del robot buono contro quello cattivo, con l’immancabile annientamento del secondo.
Iniziata il 4 aprile del 1978 sulla seconda rete nazionale con Goldrake, l’invasione proseguirà su un’infinità di reti regionali, con particolare, mastodontica, incredibile abbondanza per tutti gli anni ottanta (fino al 1990 le serie animate trasmesse in Italia saranno oltre 350). I serial nipponici erano economicamente molto convenienti: niente di meglio per riempire i palinsesti.
Era anche l’Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse e dell’ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni, ma questo io non lo sapevo ancora. Trascorrevo i primi anni, un po’ come tutti i miei coetanei, davanti alla Tv dalle 5 alle 7 ore al giorno. Ignaro di trovarmi nel bel mezzo degli anni di piombo, vivevo l’infanzia tra robot d’acciaio.
Spigolosi, violenti, sessisti, scorretti, incuranti di qualsiasi bassa considerazione pedagogica (anche perché spesso originariamente non destinati a una fascia di spettatori under 12, bensì adolescenziale) molti di questi cartoni animati, che sulla carta sembrerebbero essere (e in parte sono davvero) dei semplici sottoprodotti della cultura di massa, sono stati invece miti e modelli di riferimento, occasione di spunti, di traumi, di crescita o viceversa di rimbecillimento per tutta una generazione.
Diseducativi? Violenti? Pericolosi? Può darsi. D’altronde sono stati loro i nostri veri genitori. Tutto ciò che so, che sento e sono, è cominciato – nel bene o nel male – davanti alla TV.
Katia Ippaso - Liberazione
"[...] Al centro della narrazione i cartoni animati giapponesi attraverso i quali l'interprete a metà strada tra narratore e performer racconta, con una espressività da alcuni definita anarco-dadaista e sicuramente ai limiti del grottesco, la storia di una generazione, quella dei bambini vissuti a cavallo tra i '70 e gli '80, cresciuta davant alla Tv. E' quasi una marionetta Timpano che, con un'ossessività a tratt maniacale, ricrea sulla scena interi episodi della sua serie preferita Mazinga Z interpretandone tutti i personaggi [...] la sigla di Michiaki Watanabe cantata da Michela Gentili e, diciamo così, reinterpretata attraverso la fisicità stralunata dell'autore-attore, fa da leit motiv."
Laura Landolfi - Il manifesto
“La violenza, sembra dire Timpano,non è mai nelle storie o nelle favole; semmai è più vicina: dentro casa magari, dove due genitori urlano e un bambino si tappa le orecchie [...] Timpano è un fool travolgente, spiazzante, umorale, uno che si è sfilato già da tempo da generi e categorie. [...] Sorprende, in particolare, che riesca a slittare dal tono grottesco alla denuncia convinta, dalla gag all'autobiografismo più sincero, con così grande precisione e naturalezza. [...] Alcuni saranno respinti dal suo Ecce Robot!, molti lo ameranno.” Marco Andreoli – Hystrio
“A coinvolgere non è tanto ciò che dice questo singolare bipede da palcoscenico, quanto quello che lascia intuire attraverso la sua disarticolata gestualità, apparentemente anarchica e invece puntuale, allusiva, irresistibile. […] un’ironia così galoppante e acuta […] lancia in resta come un magico cavaliere, a liberare i pensieri nuovi dalla condanna degli schemi, stanando annichilenti fantasmi e feroci, castranti, creature. […] l’autore guarda dritto in faccia l’infanzia della sua generazione e i miti televisivi sui quali è cresciuta, per consegnare schiettamente le conclusioni del suo studio allo spettatore. […] l’attore in scena trasforma sé stesso in un fumetto nipponico […] mediazione mimica del corpo di Timpano che interpreta 3 o 4 personaggi scattosi e riflessivi, invasati da opprimenti ideali eroici […] L’attore ce li consegna così, nudi nella loro incongruenza e teneramente esilaranti […] La riflessione prende allo stomaco, in mezzo alle risate: ‘sottoprodotti della cultura di massa sono stati invece miti e modelli di riferimento, occasione di spunti, di traumi, di crescita o viceversa di rimbecillimento di tutta una generazione’. Parole di Timpano, da condividere o meno, finché non lo vedete in scena: lì non c’è dubbio: la pace nel mondo e i buoni sentimenti sono nelle mani di un pugno di schizzati…”
Daniela Pandolfi – Dramma.it
“Rilegge la realtà e le contraddizioni di una generazione ‘senza storia’ attraverso l’invasione dei cartoon giapponesi sulla Tv italiana degli anni ’80. In una divagazione come sempre solitaria, il performer romano ha alternato il linguaggio dei fumetti ai clichè del giornalismo televisivo. Ma soprattutto ha riconfermato il suo talento stralunato, capace di trasformare anche il disagio in uno strumento di irresistibile comicità”.
Giorgia Mordanini – 24 minuti
"[...] Daniele Timpano [...] da qualche anno sta proponendo con i suoi monologhi un modo assolutamente originale di approcciarsi alla scena. Narratore? Anti-narratore? [...] Daniele Timpano è stato in grado, nel giro di tre spettacoli, di dare corpo e voce a una versione della narrazione teatrale [...] in grado di seguire un andamento non lineare, sfilacciato, pieno di digressioni e amnesie. Un percorso, cioè, che destruttura a sua volta il meccanismo stesso della narrazione. Al centro di questo processo c’è lo stesso Daniele, in quanto tale, sulla scena. [...] Non bisogna però pensare che Timpano vada in scena solo «in quanto se stesso»: i testi dei suoi spettacoli esistono prima che gli spettacoli stessi, non sono frutto di improvvisazione, così come i cortocircuiti tra ciò che racconta e la sua biografia. È più giusto dire, allora, che al centro di questo processo non c’è Timpano stesso, ma appunto Timpano “in quanto tale” – ovvero la sua maschera. [...] L’empatia che si instaura tra chi parla e chi ascolta è una scintilla che scocca di sera in sera, provocata dalle frizioni create dalla stessa interpretazione sfilacciata di Timpano, oltre che dal racconto, che sembra avvitarsi su se stesso. Attraverso la sua maschera, Timpano è in grado di far cortocircuitare sulla scena e nella storia pezzi della propria biografia, che proprio in quanto individuali riescono a farsi lente – e dunque prospettiva – di un’intera generazione: quella dei trentenni, cresciuti a pane e cartoni animati giapponesi. [...] Prendendo come spunto narrativo i robot giganti che hanno «invaso i teleschermi italici» con la loro «etica mortifera e guerrafondaia» – e addirittura mettendo in scena alcune puntante, di cui una, l’ultima, persino inedita – certamente Timpano imbocca noi, pubblico di suoi coetanei, con una bella «madeleine» fatta di pugni rotanti e raggi gamma. Ma, allo stesso tempo, ripercorre l’ascesa delle emittenti televisive private (e del suo vate Berlusconi) che hanno cresciuto intere generazioni di bambini, lasciati nelle braccia della tv come in quelle di un’amorevole baby-sitter da parte dei loro genitori, in grado poi di scatenare polemiche ideologiche contro i cartoni violenti e diseducativi. Così Daniele Timpano ripercorre la polemica mediatica montata contro «Goldrake» (pronunciasi come si legge), culminata nell’utilizzo strumentale della morte accidentale di un bambino – e, cinicamente, sceglie di non “commuoversi” per quella morte, ribaltando l’ipocrisia insita nei ragionamenti di giornalisti e genitori, che promuovono la famiglia – spesso fucina di autismi affettivi, quando non di aperte violenze – come un modello assoluto. Anche qui, dunque, c’è un sovvertimento della narrazione teatrale, che solitamente parte da un tema di rilevanza sociale già condiviso dal pubblico, e ne mette in scena un’esegesi condivisa. Nel teatro di Timpano avviene l’esatto contrario [...]”
Graziano Graziani – La differenza
“Il lavoro è una ricchissima fonte di informazioni sul tema, ricerca attenta e documentata, con una sottile ed arguta analisi dell’Italia che ne venne invasa. […] uso efficace del playback che permette l’asincronia del labiale e della gestualità rispetto alla voce. […] è assolutamente esilarante […] osservare le posizioni stigmatizzate di ciascun personaggio […] in un palco vuoto, con il solo ausilio delle luci ad effetto. […] La narrazione procede con lo stile, caricaturato, dei documentari d’epoca, avvincente nella forma e nel contenuto, carico di descrizioni e riflessioni in rapidissima successione. Impossibile distrarsi […] lungo la surreale descrizione di una vana crociata di genitori ‘papà e mamme uniti contro il maligno catodico nipponico che monopolizza i figli d’occidente’ o durante la citazione di incredibili articoli dell’epoca, patetici testi dai toni apocalittici, che vedono i cartoni giapponesi minare la semplice e banalmente felice vita familiare italiana”.
Donatella Codonesu – Teatroteatro.it
“Mazinger è l'icona di una generazione cresciuta urlando “raggi fotonici” in cortile, aspettandosi di trovare un hangar segreto sotto ogni piscina e sbavando dietro alle forme iper-maggiorate di una Margot o di una Sayaka. Nella saga del robot gigante, Daniele Timpano trova la chiave per leggere -e raccontare- una mitogonia, un momento storico, un'infanzia: i suoi. Siamo nell'Italia delle B.R., appena dopo gli anni Settanta e appena prima del ristagno economico. Ai due canali nazionali si affiancano un nugolo di emittenti televisive locali, con ore di palinsesto da riempire e pochi soldi da spendere. I bambini, forse a causa del '68, sono troppo smaliziati per il Carosello e non vedono l'ora di potersi affezionare a qualcosa di nuovo. La risposta, per imprenditori e fanciulli, arriva dal Giappone: schiere e schiere di eroi popolari, melodrammatici, a volte un po' kitch ma di grande effetto e di modico prezzo.[...] Un pantheon variegato e multiforme, sul cui effetto pedagogico i parrucconi dell'epoca si scornano, ma che comunque entra, per via catodica, prima nelle case e poi nelle teste dei più giovani. E' la rivoluzione popolare, quella che reinventa quasi dal nulla i costumi, i modi di dire e la morale dei giovani. In un monologo che parte e si conclude col radio-dramma di un episodio della serie animata di Mazinger, Timpano riesce a ricostruire il conflitto ideologico nato dall'invasione dei cartoni animati giapponesi. Solo con una sedia e qualche luce, racconta la storia della generazione fotoatomica di cui è fiero esponente con piglio a volte ruvido a volte burlesco, supportato da un'intelligenza cinestetica non comune e da una mimica imprevedibile.”
Alessandro Mauri - Teatroteatro.it
“Accompagnato da ombre e luci minimali ma efficaci, sullo sfondo di un palco vuoto, trova una straordinaria chiave di ironia corporea che lo rende unico. Capovolge e trasforma quello che potrebbe essere un suo punto debole come un fisico esile, giocando proprio sul paradosso e sul ridicolo che diventano parte di una sofisticata drammaturgia. […] C'è chi lo definisce un dadaista o un futurista. Effettivamente Daniele Timpano sembra assolutamente uscire da un cilindro magico nel suo vivere e interpretare naturalmente l'assurdo. Guarda il mondo dal suo sguardo sincero, vispo e acuto, senza imbottirsi di ideologie. Tutto ciò che dice e che fa gli appartiene visceralmente e per questo arriva al pubblico”.
Alice Calabresi – Il cassetto
“Ecce Robot! Cronaca di un’invasione [...] conferma la sottile intelligenza scenica di Timpano, la sua originalità di autore, la sua vena derisoria e acuminata quasi di storiografo del costume. [...] Timpano gode palesemente a rifare sia pure ironicamente i cartoon-mito della sua infanzia, e la sua prova attorale-burattinesca strappa spesso applausi e risate. E non è, si badi, soltanto il bieco nostalgismo per una adolescenza svagata di appena l’altroieri o l’astuta confezione di un prodotto teatrale di pura marca ‘avant-pop’. Nel lungo intermezzo di commento e rievocazione dello spettacolo, Timpano ricostruisce con puntiglio quasi filologico i passaggi storici che hanno contrassegnato a partire dal 1978 l’invasione dei Manga nipponici sulle reti televisive italiane. A cominciare dalla primigenia serie di Goldrake su RaiDue, in oltre vent’anni si è arrivati a contare un fiumana di ben trecentocinquanta serie cartoonesche che hanno segnato indelebilmente la crescita e l’immaginario dei ragazzini italioti nati negli anni ’70. Con fiero cipiglio, Timpano rivendica questa sua bildung generazionale e si scaglia verso i censori del tempo, come l’ex-demoproletario Silverio Corvisieri e i soliti sociologi e tuttologi di pronto intervento, che strillavano contro la natura “diseducativa, kitsch, violenta” di questa animazione giapponese. Timpano, fiero e sardonico esponente di quegli adolescenti che passavano “dalle 5 alle 7 ore” davanti al monoscopio televisivo, rivendica tutto e dichiara di amare questi Manga proprio perché rozzi, malfatti, basati su schemi fissi e ripetitivi, tipici dei programmi di intrattenimento di massa low-cost. [...] proprio perché i Manga sono spazzatura televisiva, io me ne approprio e li rivendico perché questa spazzatura fa parte di me, è parte costitutiva della mia identità di giovane italiano."
Marco Palladini - Le Reti di dedalus
“Ha centrato il bersaglio l’astuto e a tratti geniale Daniele Timpano di AmnesiA VivacE […] La messa in scena, agile e senza fronzoli, è tutta giocata sul giovane attore che, con una fisicità elastica, quasi una danza, ripercorre gli episodi salienti della vita del suo eroe d’acciaio e di tutta la mobilitazione sociale e politica contro i valori guerrafondai e mortiferi trasmessi da quei cartoni animati a basso costo […]
Il retrogusto acidulo, il senso pratico e il sano cinismo con cui questa storia viene raccontata […] fa assumere una sorta di tono politico a questa piéce”.
Alessia Raccichini –
Lettera 22
“[...] I personaggi del primo e dell'ultimo episodio del cartoon Mazinga Z, che aprono e chiudono Ecce robot!, sono interpretati dall'attore, drammaturgo e regista Daniele Timpano: ognuno di loro è fisso in una posa e incastonato in un taglio di luce, la loro bocca quasi non si apre e il doppiaggio risulta teneramente sballato. Basta questo per comprendere la cifra dello spettacolo: l'involontaria imbranataggine di Ryo; il leggero sessismo di Mazinga nei confronti della sua aiutante Aphrodite A, robot al femminile; l'ossessione per un attacco che sembrava imminente in un clima di Guerra fredda. Ma è tra i due episodi, quando Timpano abbandona le pose da cartoon e si trasforma nell'ipercinetico narratore di una generazione cresciuta a pane e cartoni animati, che lo spettacolo abbraccia il pubblico con bordate di ricordi: il caffellatte davanti alla tv, l'imitazione degli eroi televisivi, e le accuse a questa violenza fittizia mosse da chi non capiva che la vera violenza ruggiva intorno ai bambini di allora. Nostalgia perfettamente in rima con ironia.”
Mauro Petruzziello - Freequency
“Un acrobata della drammaturgia guidando il pubblico fra i suoi ricordi, le sue ri-elaborazioni, i suoi pensieri […] Acrobata del senso, che ci conduce dalle brigate rosse alla sigla di Candy Candy, da appunti di cronaca ad approfondimenti sociologici. Acrobata della lingua, che può esplorare ogni tono, ricollegare ambienti distanti, trasformarsi davanti a tutti, scavalcare registri e poi ritornare al pubblico. E poi acrobata del mimo, acrobata della parola e di parola […] mimando tutti i personaggi e seguendo il playback delle proprie voci in rigoroso stile cartoon […] questa ‘super-marionetta’ sorprendente”
Roberta Ferraresi - Bisteatrofestival.splinder.com
" […] Il lavoro prodotto da Amnesia Vivace si gioca su un doppio registro: da una parte la rivalsa di Timpano, nato e cresciuto con Cartoons giapponesi evidentemente doppiati con una certa grossolanità. L'attore assume posture stilizzate che restituiscono visivamente la trama dei dialoghi di alcuni episodi del cartone, doppiati dalla voce di Timpano rimandata in audio come se provenisse da un qualche recondito luogo interiore. Dall'altra, dicevamo, un'analisi quasi scientifica, con tanto di dati e date, sull'invasione giapponese in tempi di stragi e ascese berlusconiane. Ora Timpano si diverte a scimmiottare altri clichè delle narrazioni odierne, dalle sedie con lampadine romane agli incipit televisivi da inchieste giallistiche ("A Imola, nei giardinetti, i peschi erano in fiore"). A questa volontà a metà tra la decostruzione ironica e il saggio sociologico, trasportata da un corpo marionetta in cui la mobilità degli arti e delle giunture marca una personale cifra d'autore, corrisponde il nocciolo del lavoro: per Timpano i cartoni sono stati, come per molti trentenni di oggi, la sede formativa privilegiata; senza cartoni non sarebbe diventato un attore. La mutazione, o la rimozione che ha colpito anche altri aspetti dei famigerati anni '80, c'è stata e continua a operare."
Lorenzo Donati - Altre Velocità
“Ecce Robot! [...] qualcosa è cambiato da quell’arcaico Ecce Homo che Pilato gridava ai Giudei indicando il Cristo accusato di tradimento. Questa volta, infatti, nel banco degli imputati c’è invece Mazinga, famoso cartoon degli anni ‘70 - ‘80 che ha svezzato milioni e milioni di ragazzini in adorazione della Santa Televisione. È uno spettacolo scisso tra rappresentazione e narrazione ironica [...]Timpano entra in scena accompagnato da una musica ispirata all’originale colonna sonora di Michiaki Watanabe [...] poco dopo lo vediamo interpretare tutti i protagonisti del famoso cartoon [...] Lo spettacolo è coloratissimo: ogni personaggio è illuminato da un filtro colorato diverso, e anche se l’attore non si muove mai dal punto in cui si è piazzato lo spettacolo risulta pieno d’azione, mai statico. Le voci registrate poi, accentuano la sensazione di trovarsi di fronte al medium televisivo e il playback sporco, mai preciso ci ricorda quei cartoons dal doppiaggio disastrato, dove si cercava di far rientrare una decina di parole in due movimenti labiali […] L’attore esce di scena e le luci cambiano: un piazzato. E lui, Timpano, rientra con una sedia: la cara e vecchia sedia del narratore. Un narratore particolare direi e per fortuna. Un narratore che si destreggia tra la dovuta ed efficace ricerca documentaristica sui fatti dell’epoca e sul prodotto nipponico (a basso costo) e una drammaturgia dalla prosa a volte poetica che molto spesso fa da contrappunto contenutistico e ironico alla serietà degli argomenti [...] Riesce dunque sempre a ribaltare la situazione in modo ironico, e direi quasi come se il testo fosse stato scritto da un doppio “io”, uno serio e maturo, l’altro divertito e infantile mitomane del super Mazinga [...] l’attore si destreggia tra una recitazione estremamente naturalistica e una caricaturale. Bellissimo inoltre è il momento in cui l’attore si gira di spalle e vediamo che dietro la schiena ha un cerchio rosso: la bandiera del Giappone! [...] In definita: uno spettacolo esilarante, da non perdere."
Anita Miotto - ArsTuaVitaMea
"[...] Daniele Timpano, solo in scena parla in un playback da vero cartone giapponese: muove solo la bocca. Via via veniamo ri-portati nell’universo di Mazinga e di tanti altri che fanno parte del patrimonio genetico delle generazioni che hanno dai trent’anni in giù. [...] La scenografia è essenziale: una sedia e un gioco di luci (degno di una puntata del miglior cartone giapponese) accompagnano l’attore che gioca con la sua fisicità per condurci in un viaggio attraverso la Storia, i cartoni e la nostra infanzia.
Con grande ironia Timpano mette in gioco presunti elementi autobiografici che diventano immediatamente universali facendo sì che lo spettatore si identifichi nel racconto.
Le stragi di stato, il rapimento Moro, ma anche il periodo scolastico e la vita in famiglia: una critica alla società fatta attraverso la geniale idea dell’invasione dei “brutti e cattivi” cartoni animati colpevolizzati per anni. [...] Uno spettacolo che centra il punto e che arriva allo spettatore coinvolgendolo dall’inizio alla fine. Fine che è un inedito: l’ultima puntata di Mazinga che sicuramente sazia la curiosità di molti."
Paola Granato - Patablog
“[...] La calda voce fuori campo di Marco Fumarola scandisce i ‘tempi televisivi’ e informa sul minutaggio che resta allo scadere dello spettacolo. Le puntate doppiate in tutti i suoi personaggi da Daniele Timpano in pre-produzione sono interpretate dallo stesso sul palco, il quale, caratterizza in una posa fissa i differenti personaggi, sottolineandoli con una luce diversa per ognuno. La stesura drammaturgica di Timpano è come al solito impeccabile, la sua maestria di scrittura tanto quanto autoregistica gli permettono un linguaggio semplice e diretto, decodificato nel segno nel tono e nei tipi. [...] La struttura dello spettacolo alterna alle puntate di Mazinga Z, il racconto di Timpano dell’invasione culturale nipponica iniziata il 4 aprile 1978 in seno a mamma RAI, inesorabilmente proseguita dall’allora fininvest (noncurante del malcontento genitoriale) e completata dalle innumerevoli reti locali. In men che non si dica, i bonari personaggi partoriti da Carosello vengono soppiantati da una valanga di violenza a buon mercato disponibile ad ogni ora nei differenti palinsesti. Il racconto della situazione socio culturale che ne deriva viene intramezzato dai ricordi relativi all’esperienza personale dell’autore. Lui stesso dipinge il quadro di se/solo in compagnia della vivace e accogliente TV. Prende posizione riguardo alla stampa di quel periodo, agli errori di valutazione nell’attribuzione di colpe rispetto alla valenza diseducativa di quei prodotti, e soprattutto prende le difese di un genere bistrattato, demonizzato e strumentalizzato. [...] Gli innumerevoli bambini fratturati nel lanciarsi vicendevolmente i componenti sono vittime solo e soltanto della disattenta sorveglianza dei propri genitori.”
Giorgia Rocchi - Ariafritta
"E' vero, nello specifico si sta parlando di quanto accadde nel 1978 con l 'arrivo di Goldrake e Mazinga, ma è lo stesso anche oggi e nello specchio un po' sfocato delle polemiche di allora si vedono già i germi di una società vittima di se stessa capace solo di dare ad altri le colpe delle proprie inadeguatezze. Ieri erano i robot quelli contro cui fare le crociate, oggi tocca ad altri eterodossi, ma in fondo il canovaccio dello spettacolo - è proprio il caso di dire - non cambia. "Non sono i robottoni a essere violenti - scrive Daniele Timpano in 'Ecce Robot ! ' - non sono i cartoni a essere diseducativi : violenti e diseducativi sono stati i miei amati genitori". Di cattivi maestri non se ne ha mai abbastanza."
Leonardo Merlini - Apcom - Virgilio.it
“Daniele Timpano, autore e protagonista dello spettacolo, è altresì narratore e protagonista della storia che racconta. Racconta il mood dei bambini che all’epoca si ritrovavano, ognuno a casa sua, davanti alla propria televisione. [...] Daniele Timpano è esilarante soprattutto nel trasformarsi lui stesso in cartone animato, “animando” da solo più personaggi alla volte, e dimostrando di aver sicuramente compiuto un accurato studio della “fisicità” e delle “personalità” di queste immagini animate. Il playback gli consente di immergersi mimicamente in ogni personaggio, riproducendo le caratterizzazioni quasi da commedia dell’ arte dei cartoni, che affibbiano ad ogni “tipo” una ristrettissima e ripetitiva gestualità e vocalità. Racconta anche di lui, con piglio futurista, della sua infanzia imbevuta di quelle immagini e di quelle storie, riuscendo a dare un “carattere” anche all’Italia dell’epoca, attraverso il racconto.”
Gaia Gulizia – Punto e Linea
“La comicità dissacrante e inconsueta di Timpano si concretizza in uno spettacolo diviso in tre parti: se quella centrale è una sorta di cronistoria dell’avvento e l’ascesa dell’animazione giapponese in Italia, la prima e la terza sono vere e proprie riproposizioni di spezzoni di Mazinga ri-doppiati e mimati dall’attore, che ha così modo di dare sfogo alla sua esilarante fisicità.”
Roberta Balduzzi – Cinemaeteatro.com
“La colonna sonora di un cartone animato giapponese che tutti ricordano suona rumorosamente mentre il pubblico è ancora in attesa di varcare la soglia del teatro. Inizia così lo spettacolo, dilatando i consueti confini del perimetro del palco, spazio in cui solitamente si limita la scena, per evocare il luogo mentale che accomuna un’intera generazione cresciuta a “pane e robot d’acciaio”. Una struttura scenica aperta, tesa a stimolare le memorie portatrici di un modello eroico che la tv ha contribuito a costruire: Ecce Robot. Momento opportuno per proporre un passaggio autocritico generazionale, considerando che il mitico Goldrake ha fatto per la prima volta la sua apparizione sulle reti Rai il 4 aprile 1978, esattamente 30 anni fa. [...] Timpano si chiede, con il senno del poi, cosa accadeva nel nostro Paese mentre da piccolo stava incollato davanti al televisore per nutrirsi di prodi robot d’acciaio. Nell’anno del rapimento Moro l’Italia faceva i conti con le Brigate Rosse e con le stragi. Alla fine degli anni Settanta entrano in campo anche le televisioni private che sin da subito rispondono a criteri di messa in onda dei programmi definiti dal mercato. Perciò le serie animate giapponesi a basso costo invadono i palinsesti creando una reazione conflittuale da parte della coscienza collettiva abituata allo spirito pedagogico dei precedenti programmi Rai. Diceva la gente: “I cartoni giapponesi sono brutti, violenti, diseducativi, pericolosi e soprattutto meri prodotti di consumo”. Ma i nuovi eroi sono stati anche motivo di fruizione emotiva, di suggerimenti immaginifici, in qualche modo di crescita o di sconfinamento. Sono i nostri genitori e con loro dobbiamo fare i conti. [...] L’Ecce Homo, letteralmente “Ecco l’uomo” – la frase che il vangelo di Giovanni attribuisce a Ponzio Pilato quando si rivolse ai giudei dopo aver fatto flagellare Gesù, e che i cristiani interpretarono come “Ecco l’uomo per eccellenza” – è superato. Valicato altresì l’Ecce Homo di Nice che, critico rispetto al cristianesimo, si ispira alle forze dionisiache per esaltare i valori vitali dell’Oltreuomo, che sfida la morte pur di autodeterminarsi. Con l’Ecce Robot si afferma un nuovo modello di umanità. Al servizio dell’uomo vi è la tecnologia che estende le sue potenzialità proteggendolo da possibili fallimenti: i robot nipponici, infatti, sono enormi strutture metalliche che assumono la forma di chi al loro interno comanda le leve, per renderlo infallibile. Superati i limiti del corpo in carne ed ossa, quindi, la vita non ha più inizio e fine… E senza un finale definito resta anche la rappresentazione. Mentre il pubblico si allontana dagli spalti continua a suonare la sigla della serie di Mazinga, lasciando immaginare di li a poco una ripresa dello spettacolo con una nuova “puntata” del valoroso eroe.”
Paola Giusti – Notti da Leon
“Ecce Robot! ovvero la perfetta fotografia della generazione dei trentenni cresciuti a pane, Nutella e tv, tutti nipoti dello zio Jesse e cugini di Bo, Luke e Daisy, assuefatti alla violenza televisiva come Alex nel finale di Arancia Meccanica, ma senza bisogno del marchingegno che impedisca loro di chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo dallo schermo catodico. [...] quei trentenni siamo noi e Timpano è il nostro profeta.
Ecce Robot! è uno spettacolo irresistibile, attraversato, per tutti i 66 minuti di durata, da una vena di follia mista a incoscienza e genialità. Rigidamente strutturato in una cornice - costituita dal primo e dall’ultimo episodio dell’anime cult Mazinga Z - che argina faticosamente due strabordanti monologhi, il lavoro deve molto alla mimica personalissima di Daniele Timpano che raggiunge l’apice nella caratterizzazione dei personaggi e nel playback ghezziano delle puntate di Mazinga. L’autore si cuce addosso un testo che gli calza a pennello e che, nonostante il target dichiaratamente circoscritto, diverte il pubblico di tutte le età.
Come per il precedente “Dux in scatola”, anche in questo caso si spazia dalla ricostruzione storica di un evento, l’approdo dei cartoni animati giapponesi sui canali nostrani nel 1978, all’analisi sociologica dell’impatto sugli italici telespettatori, bambini e - soprattutto - adulti, con conseguente codazzo di polemiche, crociate mediatiche e definitiva vittoria del mero interesse economico su ogni altra possibile motivazione. A ciò si aggiunge la scelta di Timpano di punteggiare i suoi monologhi di riferimenti autobiografici, episodi che spiccano per comicità o tenerezza creando un gancio immediato con buona parte del pubblico. Il vissuto comune si materializza, diviene palpabile trasformandosi in ulteriore tessuto narrativo, operazione che ha decretato il successo di un film mediocre come Notte prima degli esami e a maggior ragione, in questo caso arricchisce e stratifica ulteriormente l’intelligente lavoro di Daniele Timpano.”
Valentina D'Amico – Il giornale della Mezzanotte